martedì 29 gennaio 2008

proposta di referendum sulla precarietà

L'articolo sulla finanziaria ha suscitato moltissimi commenti e la discussione si è successivamente focalizzata sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici, con interventi di personaggi noti a livello nazionale come Marco Ferrando e Giorgio Cremaschi.
Riccardo di Palma, che ha partecipato alla discussione, mi propone di aprire una discussione sul tema della precarietà, segnalando un iniziativa di cui Ferrando e Cremaschi sono promotori.


Si tratta di una iniziativa denominata BASTA PRECARIETA' che all'origine doveva essere semplicemente una petizione on line, ma che, constatato l'enorme successo riscosso in breve tempo, il Comitato Promotore, ha deciso di intraprendere la "sfida" istituzionale, tendente a promuovere 3 referendum.

Nel comitato promotore e tra i primi firmatari ci sono anche personaggi noti appartenenti al mondo politico e sindacale: Giorgio Cremaschi (Rete 28 Aprile CGIL), Giulietto Chiesa (Parlamentare europeo), Franco Turigliatto (Sen. ed esponente di Sinistra Critica), Fabrizio Tomaselli (Coordinatore Nazionale SdL Intercategoriale), Dino Tibaldi (Sen. e Responsabile Lavoro Pdci), Marco Rizzo (parlamentare europeo Pdci), Marco Ferrando (portavoce nazionale mcPCLavoratori) per fare alcuni esempi.
Le tre proposte referendarie intendono abrogare le norme che "legittimano" il precariato nel mondo del lavoro e la norma che tutt'oggi impedisce l'esistenza di una reale democrazia sindacale, non riconoscendo alcuni diritti fondamentali alle organizzazioni sindacali che non appongono la propria firma sui contratti collettivi nazionali.
Le Assemblee tenutesi pochi giorni fa a Roma e Milano hanno confermato l'intenzione di intraprendere la strada referendaria e prossimamente occorrerà iniziare ad attivarsi per la raccolta delle firme necessarie.

Questo è l'appello riportato nel sito:
http://www.bastaprecarieta.org/index.php/Appello.html

27 commenti:

Anonimo ha detto...

Giuseppe posso chiederti che cosa ne pensi nel merito delle questioni poste dai 3 referendum? E anche la tua opinione sull'efficacia dello strumento referendario su questi argomenti.

Anonimo ha detto...

Io credo che non siano giusti i Referendum e ti spiego perchè:
1) precarietà. Non capisco per quale motivo solo l'impresa deve essere precaria, ovvero lavora solo se ha i clienti, mentre il lavoratore deve essere garantito e ottenere lo stipendio per tutta la vita prescindendo dalle condizioni di bilancio dell'azienda. La forma normale del lavoro deve in prospettiva diventare quella precaria. Finchè ho lavoro il dipendente lavora con me, quando non ne ho più, non me lo posso inventare, e va a lavorare altrove.Io piuttosto farei il referendum per abrogare i contratti a tempo indeterminato, che penalizzano l'impresa e di conseguenza lo Stato.
2) democrazia sindacale. Questo è assurdo. Non ha nessun senso. Perchè nella mia azienda, nel mio capannone di proprietà privata, ci entrano solo i Sindacati che dico io e solo se ho intenzione di farli entrare io.
Se entrano senza il mio consenso,ma per volontà dei lavoratori, secondo me è una violazione di proprietà privata. Non ha nessun rifermento giuridico la legittimazione all'ingresso di un Sindacato solo perchè lo votano i lavoratori. La proprietà privata è mia e decido io chi deve entrarci e se entrarci, non i lavoratori. I lavoratori decidano per casa loro.
A mio avviso al momento della stipula del contratto di lavoro, dovrebbe esser possibile firmare un altro documento con cui il lavoratore prende impegno a non aderire ad alcun sindacato oppure ad impegnarsi a non aderire a talune sigle sindacali. E' un contratto privato, nessuno lo obbliga a firmare. Ovvio che nessuno obbliga me ad assumere un lavoratore che non mi firma tale impegno. Io i Cobas in azienda non li voglio.

Anonimo ha detto...

Adesso no venitemi a dire che non avevo ragione a proposito di anonimato. E' così grottesco l'intervento di chi mi ha preceduto, che il sospetto di una voluta provocazione mi sembra molto probabile. Se non fosse così, mi piacerebbe conoscere questo straordinario esempio di ominidis metalmeccanicus, per il quale fin d'ora varo il SAVE "Piccolo imprenditore" FOUND. Vi prego AIUTATEMI!!!

marco

Anonimo ha detto...

Marco devi dirmi che cosa non condividi e non insultare.
1) non è vero che ai dipendenti lo stipendio è garantito anche se l'azienda è in crisi? E calcola pure che il lavoratore appena sente aria di crisi, si guarda in giro e appena trova se ne va e ti lascia nella merda. Non è meglio un sistema più flessibile reciprocamente dove finchè lui ha bisogno resta alle mie dipendenze e quado trova di meglio se ne va, viceversa l'azienda tiene il lavotatore finchè gli serve e quando non serve più lo possa licenziare. per il bene dell'azienda e di tutto il resto dei dipendenti.
2) democrazia sindacale. Ti pare giusto e democratico che io pretenda di venire a casa tua senza il tuo consenso, in virtù del fatto che mi hanno autorizzato altre persone che non sono tue comproprietarie?
Vediamo se rispondi. Ma penso di no.

Anonimo ha detto...

Visto che a quanto pare esisti veramente, cercherò di risponderti.
Imprenditore, deriva da intraprendere, cioè rischiare. Questa è la ragione (per altro assolutamente condivisibile) per cui se sei bravo guadagni 100 volte di più del tuo operaio, altrimenti è meglio che cambi mestieri. I tuoi dipendenti sono prestatori d'opera, non è un caso che tu ed i tuoi colleghi siete molto attenti al COSTO del LAVORO, ma ottenere la loro prestazione, non significa acquistarne la titolarità dell'anima. Per quanto tu abbia a cuore la loro condizione (e da ciò che scrivi mi sembra poco)ci deve essere un organo terzo che garantisca quei diritti che, mi verrebbe da dire, si avvicinano più ai diritti umani che non alla carta dei lavoratori.
Caro amico, credimi, siamo all'ABC della civiltà moderna e te lo dice un liberale. LIBERISTI DOVE SI PUO', SOCIALISTI DOVE SI DEVE.

saluti marco

Giuseppe Volta ha detto...

Riccardo provo a risponderti (il tema è complesso).
La precarietà è un problema notevole per i lavoratori che la subiscono e, ripeto cose che si sentono e si leggono tutti i giorni, sta condizionando in maniera pesante la vita di intere generazioni, limitandone la possibilità di costruirsi una vita indipendente. Dall'altro lato i problemi espressi in modo molto esplicito da "piccolo imprenditore" al punto 1 sono assolutamente reali. Limitare la precarietà vietando i licenziamenti è iniquo nei confronti delle imprese e particolarmente pesante per le piccole imprese. Oltre che iniquo è inutile e controproducente, in quanto il timore di non poter licenziare ha fatto fiorire tutte le forme di lavoro precario e anche l'esplosione dell'uso dei terzisti e dell'outsourcing, insomma di tutto quello che può far evitare le assunzioni. Di fatto come si legge nel commento di "piccolo imprenditore" una microimpresa di un terzista non è molto diversa da un lavoratore precario. La difesa di alcune garanzie a favore dei lavoratori dipendenti si è quindi pian piano trasformata nella difesa di una parte soltanto dei lavoratori, quelli che il contratto "vero" ce l'avevano già, mentre fette sempre più grandi dei nuovi lavoratori che entravano nel mondo del lavoro rimanevano nel limbo della precarietà perchè le imprese si organizzavano per ottenere la flessibilità di cui avevano bisogno attraverso i meccanismi citati (terzisti, outsourcing, lavoro interinale ...). Secondo me la tutela dei lavoratori dovrebbe avvenire con ammortizzatori sociali tipo sussidio di disoccupazione e non limitando la flessibilità, questo peraltro avviene da tempo in molti stati europei. Questi ammortizzatori sociali costano, parecchio, le risorse però ci sono e questi 20 mesi di governo ci hanno dimostrato che le possiamo trovare con il recupero dell'evasione fiscale. Aggiungiamo poi che essendo in Italia (il paese dei furbi) dovremmo anche dotarci di forti sistemi di controllo che evitino gli abusi dei soliti approfittatori (tipo pensioni di invalidità per intenderci). Un altro problema di non facile soluzione.

L'interpretazione della tutela dei lavoratori in chiave di limitazione della libertà dell'impresa ha fatto perdere alla sinistra il consenso di una fascia sociale molto ampia (e in costante crescita numerica) di microimprenditori, artigiani e simili che secondo me sono nella realtà molto più vicini ai loro dipendenti che non a Berlusconi.

Tutto quello che ho scritto è in realtà più la descrizione di due approcci ideologici e della percezione diffusa della realtà del lavoro che non la realtà dei fatti. Nella realtà le aziende che non hanno lavoro possono ridurre la manodopera, e questo in genere viene accettato anche dai sindacati. L'oggetto tipico di scontro con i sindacati invece è la libertà di mandare a casa un dipendente non gradito per assumerne un altro, ma questo è un altro discorso e pure piuttosto impegnativo.

Per quanto riguarda le organizzazioni sindacali non firmatarie di contratto non sono molto ferrato. Mi limito a dire che considero deleteria la polverizzazione delle sigle sindacali e la proliferazione di sindacati autonomi.

Sull'efficacia del referendum sono scettico in generale perchè purtroppo l'uso dell'astensione in luogo del voto contrario ha ormai praticamente sterilizzato lo strumento referendario. Bisognerà riconsiderare le regole del quorum perchè altrimenti ci priveremo di un importante strumento di democrazia.

Anonimo ha detto...

Grande intervento, piccolo imprenditore metalmeccanico.
Non avevo mai pensato alla violazione della proprietà privata. In effetti hai ragione: d’ora in poi non faremo più entrare nemmeno lo spresal che viene a fare i controlli igienico sanitari o gli ispettori del lavoro che ci controllano il versamento dei contributi previdenziali o il rispetto delle normative sulla sicurezza. E se non facessimo entrare nemmeno la Guardia di Finanza che vuole controllare i nostri conti? Denunciamo anche loro per violazione di proprietà privata.
Tutto ma proprio tutto il possibile dobbiamo fare per evitare che la malapianta del sindacalismo autonomo possa attecchire nelle nostre aziende. Soltanto loro difendono davvero i lavoratori dai pescecani come noi e dobbiamo diserbare con cura tutte le nostre proprietà. Proprietà private s’intende.

Anonimo ha detto...

piccolo imprenditore credo che prima di iniziare l'attività imprenditoriale, o forse l'hai ereditata, sarebbe stato meglio che ti fossi studiato un paio di nozioni giuridiche legate all'azienda e al suo funzionamento.
Parli di precarietà d'azienda bestemmiando!
Forse ti riferivi al concetto di "rischio d'impresa" che ti asssicuro è il fondamento cardine della ricchezza degli imprenditori virtuosi secondo lo schema:
rischio del capitale, decido struttura-organizzazione-mission, se sono bravo guadagno (e tanto!!!).
Ovvio chi non è bravo...
Parli di contratti indeterminati con una superficilità e una banalità elementare.
Per anni ho sentito di parlare di rilancio della competitività, probabilmente senza che si conoscesse l'oggetto della discussione!
La competitività in Italia non è certamente raggiungibile tramite i prezzi, credo che tu lo possa capire, ma tramite produttività ed efficenza.
Spiegami come pensi di poter pretendere produttività ed efficenza da lavoratori che hanno contratti, se va bene, di tre mesi, tempo che nella migliore delle ipotesi è sufficente per imparare la mansione.
Sui licenziamenti studiati un pò di diritto del lavoro perchè oltre al licenzimento per giusta causa e per motivo soggettivo esiste anche la possibilità di licenziare per giustificato motivo oggettivo!!!
Basta con queste balle!!!
Io ne proporrei un altro di referendum:
che l'imprenditore conoscesse almeno le nozioni base dell'ordinamento giuridico-aziendale!!!

roberto faggiano

Giuseppe Volta ha detto...

Roberto sulla conoscenza delle regole per i licenziamenti non so se c'è ignoranza o disinformazione o malafede, comunque la percezione diffusa è diversa dalla realtà e questo è un problema su cui la sinistra deve lavorare per fare chiarezza anche se cinque televisioni in mano a Berlusconi non aiutano.

Anonimo ha detto...

Bravo Giuseppe hai ragione. La percezione pubblica è comunque che l'imprenditore che licenzia è una carogna, mentre invece in determinate situazioni, si tratta di un provvedimento necessario per il bene dell'impresa e del restante dei dipendenti(e qui rispondo a Marco Foti che sostiene che non ho a cuore i dipendenti). Occorre lavorare a livello politico per "normalizzare" il licenziamento a livello di opinione pubblica.
Faggiano il contratto a tempo indeterminato deve assumere il senso della parola stessa. Indeterminato significa non ben definito. Quindi perchè gli si attribuisce comunemente il significato di contratto "fisso"? Comunque non trovo giusto che nelle imprese con + di 15 dipendenti, il lavoratore possa licenziarsi quando vuole, mentre l'azienda non abbia la medesima facilità nell'effettuare un licenziamento. Secondo me è giusto che la flessibilità sia bilaterale.
Comunque io a differenza vostra non offendo nessuno, e questo è il sintomo + evidente che non si hanno argmenti per controbattere.

Giuseppe Volta ha detto...

ok però c'è anche un'altra percezione sbagliata ed è quella che licenziare sia impossibile e non è vero neppure quello. Quest'anno abbiamo anche avuto alcuni casi di licenziamento da enti pubblici di lavoratori che non lavoravano (meglio tardi che mai) e NON sono stati difesi dal sindacato.

Anonimo ha detto...

innanzitutto nel mio post non ci vedo nessun elemento di offesa, se ne trovi evidenziali per cortesia.
Anche questo è un costume classico di Vs. uso, mistificare parole e azioni per imbonire il pubblico.
Probabilmente non hai prestato attenzione alle mie parole, i licenziamenti di cui parli tu si riferiscono al caso di "licenziamento per giustificato motivo oggettivo" che perarltro comprende, e questo è un elemento di forte ingiustizia, anche l'esternalizzazione dei servizi ("caso vodafone" do you know it?).
Il lavoratore che si licenzia lo fa ovviamente per ragioni che lo portano a non vivere bene l'ambiente professionale, non credo che ci sia nessuno che rinunci ad un posto di lavoro che lo soddisfa.
Al contrario la facilità di licenziamento si traduce in "forza di ricatto" (modello USA docet) da parte del datore di lavoro, per la carità la maggior parte sono galantuomini ma ....

Anonimo ha detto...

Ma sei veramente un genio, caro il mio piccolo imprenditore.
E’ vero, dobbiamo fare una bella campagna pubblicitaria a favore dei licenziamenti. Potremmo usare come testimonial Prodi che ci dice “Anch’io sono stato licenziato ma adesso faccio il nonno e sono felice” e un bel sospiro di sollievo di una marea di cittadini italiani. Naturalmente tutto questo insieme ai sindacati confederali che si batteranno per contrattualizzare anche i licenziamenti e renderli così graditi ai lavoratori (guarda potrebbe avvenire così: io prima faccio un contratto per assumere il lavoratore e poi, grazie all’assistenza dei sindacati, ne faccio un altro per licenziarlo quando non mi serve più, naturalmente dietro pagamento di un corrispettivo).
La tua competenza grammaticale poi mi stupisce (ma noi pescecani capitalisti non dovremmo soltanto grugnire o lanciare urla belluine?). E’ vero, il contratto indeterminato, lo dice la parola stessa, non è ben definito, è nebuloso, confuso. Oggi lavori di qua, domani di là. Se mi garba per un mese ti faccio fare il direttore generale e il mese successivo l’addetto alla pulizia dei gabinetti. Incerto e confuso lo stipendio, così come le aspettative di lavoro. La colonna sonora che potremmo mettere in fabbrica per distendere i lavoratori potrebbe essere “Confuso e felice” di Carmen Consoli, così si ricordano sempre quale deve essere il loro stato d’animo quando lavorano da noi.
Chissà, potremmo chiedere anche la reintroduzione dello ius primae noctis? Che dici, mio caro piccolo imprenditore?

Anonimo ha detto...

La capacità di un imprenditore, o comunque delle persone che gestiscono un'azienda, stanno nel trovare nuovi clienti, trovare
nuove commesse, avere le capacità di stare sul mercato con prodotti nuovi ed innovativi, trovare nuovi mercati.
Con i paesi emergenti che producono con costi di manodopera molto bassi, per i "piccoli imprenditori italini" è difficile vincere
la concorrenza.
I "piccoli imprenditori italiani" vorrebbero abolire il lavoro a tempo indetrminato per poter usufruire degli sgravi fiscali
che lo Stato offre con i contratti atipici o a tempo determinato, come avveniva con i contratti di formazione lavoro.
Gli imprenditori italiani hanno già la possibilità di assumere personale solo per i periodi di maggiore produzione,
questo avviene tramite le agenzie di lavoro interinale. Un ulteriore aumento della precarietà creerebbe solo incertezze nella
vita di un lavoratore.
Inoltre, i "piccoli imprenditori italiani" in questi mesi hanno ottenuto una riduzione del cuneo fiscale ottenendo
un risparmio di diversi milioni di euro, con benefici che non sono stati "distribuiti" ai lavoratori dipendenti. Infatti,
in questi mesi di governo gli imprenditori italiani hanno ottenuto agevolazioni e quando si è iniziato a parlare di interventi a favore
dei lavoratori dipendenti... è caduto il governo.

Al fine di ottenre una maggiore produttività, penso che un "piccolo imprenditore italiano" deve motivare, incentivare, credere nelle
capacità dei propri dipendenti. Tra le parti ci vuole rispetto reciproco, se questo viene a mancare è logico che i lavoratori
si difendono come possono, ad esempio con l'ingresso dei sindacati esterni in azienda. Questo è un diritto e l'unico mezzo
per far valere i propri diritti. Al contrario dei piccoli imprenditori italiani che hanno numerose "armi" a proprio favore, come il
mobbing.

Anonimo ha detto...

Qui si tratta di discutere 2 cose. La flessibilità del lavoratore, che è elemento essenziale per la crescita del mondo del lavoro e dell'intero Paese, e della democrazia sindacale. Sulla democrazia sindacale esiste un problema ancora più grande, nel senso che il fine giustifica i mezzi. Vi sottopongo una semplice riflessione: è normale e risaputo che un azienda in difficoltà prende come primo provvedimento il contenimento dei costi del lavoro e fra questi ovviamente anche quelle del personale dipendente. Il merito che hanno avuto le organizzazioni sindacali CGIL CISl e UIL negli ultimi anni è quello di aver finalmente capito che il contenimento dei salari è essenziale per le aziende. Ma voi pensate che trattando con i Cobas, questa boccata di ossigeno sarebbe stata praticabile? Ma lo sapete che i Cobas sostengono che 127 € al mese di rinnovo contrattuale sono pochi e nella loro piattaforma chiedevano 250 € lordi?. Parliamoci chiaro: se i Cobas avessero avuto diritto di assemblea, come ce l'hanno i confederali, pensate che saremmo riusciti a far passare il protocollo sul welfare al referendum? pensate che i lavoratori voterebbero a favore del contratto collettivo dei metalmeccanici? I cobas, come sostiene un volantino mostrato nell'altro forum sulla finanziaria, farebbero votare contro e queste cose che sono essenziali per le imprese non sarebbero praticabili. Ecco perchè non voglio che i Cobas entrino in azienda. Per il bene mio, ma anche di tutta l'Italia. Bisogna puntare sulla crescita del Paese, e quindi non è importante se sia democratico o no, però è giusto spuntare al massimo le armi di quei sindacati che se ne fregano dell'interesse delle imprese. Perchè il male per le imprese si ripercuote per forza alla fine anche sui dipendenti. Ricordate il vecchio saggio detto che diceva: quello che fa bene alla Fiat fa bene all'Italia. E questa è la realtà.

Anonimo ha detto...

"Quello che fa bene alla Fiat fa bene all'Italia". Dopo la tua chiosa finale che cosa aggiungere: VOGLIO UN TUO POSTER!!! Ma ci fai o ci sei?! Mi prendi davvero per deficente. Pensi davvero che questo Paese può permettersi di socializzare tutte le perdite dell'imprenditoria e privatizzare i guadagni ...come la FIAT appunto!! Se hai lo stress da "rischio imprenditoria" te lo già detto: CAMBIA MESTIERE. Oppure peggio mi sento; Se dopo aver fatto dividendi per 10 anni, subisci la crisi ed hai un calo, risolvi tutto licenziando? Ok ad un patto, che restituisci parte dei dividenti già incassati ai dipendenti sacrificati. Ci stai? IL RISCHIO è TUTTO TUO, ANZI NOSTRO, perchè chi ti parla è portatore sano di partita IVA, non siamo nello stesso settore, ma entrambi rischiamo in proprio, quindi il mio non è un ragionamento di categoria. Dopo di che ci sono alcune considerazioni sulla mobilità, sui contratti e sul sindacato, che in linea di principio mi vedono daccordo.
Il problema è però definire su chi far ricadere i costi sociali ed economici di certe scelte. In questo, caro amico, raccolgo e rincaro l'invito di Roberto, riprenditi in mano anche la Costituzione e la carta dei diritti dell'uomo, ti manca qualche capitolo.

p.s. Non ho usato parolacce, ne insulti, per tanto non credo di averti offeso. Se non ami la dialettica in contradditorio fammelo sapere.

saluti marco

Anonimo ha detto...

il commento di marco, portatore sano di partita IVA, è la più sana analisi profitto/crisi che si possa contestualizzare!
Peraltro se io fossi un imprenditore non sarei molto contento dei benefit concessi al RE (o Avvocato) negli anni in cui lo Stato regalava stabilimenti (Pomigliano, Melfi e Termini Imerese) e sgravi che Lui trasformava in diversificazione dell'attività FIAT (Galbani, Alpitour etc) così per grazia ricevuta mentre gli altri dovevano camminare con le proprie gambe!
A proposito la battuta sul bene della Fiat e il bene dell'Italia io non la proporrei fuori da Mirafiori...
Piuttosto se vogliamo portare esempi di "sanificazione" aziendale parliamo, per restare nel settore, di Mitterand e il mondo auto francese!
roberto faggiano

Anonimo ha detto...

In effetti il problema della democrazia sindacale è abbastanza grande. Premetto subito per correttezza che sono iscritto ad una organizzazione sindacale di base, che non è la Cobas, tuttavia questo tema è vissuto con grande sofferenza e rabbia all'interno di tutte le organizzazioni sindacali di base. Non si capisce per quale motivo debba essere discriminante non condividere e conseguentemente, non apporre la propria firma sul contratto collettivo nazionale. Nel settore privato ad esempio, esiste un incredibile e, a mio modesto parere, vergognosa riserva che assegna aprioristicamente nelle elezioni RSU, ben il 33% dei "seggi" alle organizzazioni CGIL CISL e UIL in virtù del fatto di aver stipulato il contratto collettivo vigente.
Sin dal momento della campagna elettorale per l'elezione RSU, è evidente l'assenza di qualsiasi forma di equità e di democrazia: ai candidati dei soggetti sindacali non rappresentativi(ovvero quelle organizzazioni sindacali che non raggiungono il 5% facendo la media tra il dato elettorale raggiunto alle ultime elezioni RSU, e il dato associativo), è disconosciuto qualsiasi mezzo di proselitismo. Non hanno diritto nè di indire assemblee nè di effettuare affissioni. Devono partecipare cioè alle elezioni a bocche cucite, senza alcun diritto che garantisca la possibilità di far conoscere le proprie idee ai lavoratori. Anche nel caso dovessero riuscire ad essere eletti come RSU, permane lo stato di iniquità in quanto, il diritto di assemblea in orario di lavoro, e la fruizione dei diritti sindacali in genere, è riservata alle OO.SS. maggiormente rappresentative e/o firmatarie dei contratti nazionali. Lo stesso criterio della rappresentatività e/o sottoscrizione del precedente CCNL assegna o nega il diritto di accesso alle orgnizzazioni sindacali alle trattative sul Contratto Nazionale.
Ma la vera novità degli ultimi anni è che, sempre in un maggior numero di comparti, non è più sufficiente una delle due condizioni(o il 5% o aver firmato il CCNL). In base al continuo aumento sia dal punto di vista degli associati, sia in termini di voti ottenuti alle elezioni RSU dai sindacati di base, la norma che impone il 5% non salvaguarda più il monopolio confederale, e allora ecco che CGIL, CISL e UIL, hanno pensato bene di inserire, tra gli articoli che compongono i vari CCNL, quello che esclude, da ogni tavolo di trattativa, tutti coloro che non firmano il "loro" CCNL. Di fatto, quindi, se i sindacati di base non firmano il CCNL, restano fuori da tutti i tavoli di contrattazione, nonostante la maggiore rappresentatività ottenuta mediante il consenso dei lavoratori, e, CGIL, CISL e UIL, di fatto sono gli unici "rappresentanti" dei lavoratori…... nessuna opposizione, niente contestazioni, niente informazione ai lavoratori iscritti e non, e tutto quello che potete immaginare in termini di pluralità di pensiero.
Data questa grossolana spiegazione sul tema della democrazia sindacale, ritengo lo strumento referendario sbagliato e addirittura controproducente su questo tema, perchè i confederali organizzerebbero i loro apparati di guerra pur di salvaguardarsi i loro privilegi e la loro egemonia, dando indicazioni di non recarsi al voto. Stessa strategia seguirebbero i vari "piccoli imprenditori metalmeccanici" per salvaguardare la propria "proprietà privata". Troverei più funzionale allo scopo una proposta di legge di iniziativa popolare.

Anonimo ha detto...

...scusate la nuova intrusione, siccome come ben sapete non amo l'anonimato, nell'intervento precedente erroneamente mi sono qualificato solo come Marco, vorrei precisare che sono l'oramai noto Troll.

Marco Foti

Anonimo ha detto...

Caro piccolo imprenditore, sono rimasto folgorato dalla tua filosofia e vorrei fare un distillato dei tuoi illuminati pensieri. Giusto per capire se ho capito.
Ecco un piccolo decalogo per un piccolo imprenditore metalmeccanico.
1) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, sono dei pescecani nel senso che il fine giustifica i mezzi.
2) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, se ne fregano del politically correct e dicono pane al pane anche a costo di apparire delle macchiette assolutamente improponibili.
3) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, conoscono in maniera approfondita tutte le sigle sindacali che tutelano o, in taluni casi, pretendono di tutelare i lavoratori. La conoscenza del nemico è fondamentale per elaborare una strategia di battaglia.
4) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, grazie a questa loro conoscenza del nemico sanno perfettamente che i sindacati con più iscritti sono quelli che in realtà fanno i loro interessi (degli imprenditori, s’intende). D’ora in poi questi sindacati verranno chiamati i sindacati buoni.
5) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, grazie a questa loro conoscenza del nemico sanno che soltanto i sindacati autonomi (cobas, ecc.) difendono per davvero i lavoratori. Purtroppo a causa dell’assenza di democrazia sindacale questi sindacati, che per facilità chiameremo cattivi, non hanno seguito tra i lavoratori.
6) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, vogliono mettere sull’avviso tutti gli altri imprenditori (medi e grandi) sulla pericolosità dei sindacati cattivi in modo che facciano di tutto per tarpar loro le ali e impedire la loro diffusione.
7) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, pur di opporsi all’espansione dei sindacati cattivi devono fare propaganda ai sindacati buoni. E’ necessario che tutti i lavoratori comprendano che i sindacati buoni sono amici del piccolo imprenditore e in questi anni hanno lavorato per lui (il piccolo imprenditore) e non per i lavoratori.
8) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, sono veramente stupiti quando pensano a come i lavoratori si facciano abbindolare dai sindacati buoni che fanno contrattazione nell’interesse delle aziende e non abbiamo aderito in massa ai sindacati cattivi che avrebbero invece fatto guadagnare loro tanti bei soldini (questa la togliamo perché non bisogna rivelare al nemico quello che è meglio per lui).
9) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, attaccando i cattivi sindacati devono fare però capire ai lavoratori che soltanto i cattivi sindacati fanno i loro interessi (dei lavoratori). Non si sa mai che quegli zucconi dei lavoratori non l’abbiano capito da soli (forse anche questa è meglio toglierla, non vorremmo che i piccoli imprenditori fossero presi per degli spudorati masochisti).
Cosa dici piccolo imprenditore, può andare? Ah già, per essere un decalogo manca ancora un punto.
10) Gli imprenditori, soprattutto se piccoli, sanno che l’azione di contrasto dei sindacati cattivi deve essere fatta in maniera più coperta e tra le righe perché altrimenti qualcuno potrebbe accorgersi che il nostro piccolo imprenditore è in realtà l’amministratore delegato della Cobas S.r.l. (e la sua responsabilità nell’inscenare questa pantomima è davvero molto limitata).

Anonimo ha detto...

Se il bene è il bene comune, il fine giustifica i mezzi. Non esistono sindacati che fanno gli interessi degli imprenditori. Ci sono sindacati moderni che accettano il concetto di impresa e con cui si può ragionare, e ci sono sindacati bolscevichi. Non è così?

Anonimo ha detto...

Piccolo imprenditore ha ragione, anche se come la maggior parte degli imprenditori, sono abbastanza concreti, arrivano direttamente al punto e finiscono per esasperare i concetti essendo fraintesi. Sono convinto anche io che le aperture del sindacato su alcuni punti chiave come la flessibilità siano stati essenziali per rimanere a galla per la nostra industria. Tuttavia, non voglio fare l'avvocato del diavolo, ma non mi pare che abbia mai detto che i Cobas fanno gli interessi dei lavoratori. Anzi, ha detto chiaramente che fanno richieste assurde e che non vuole i Cobas per il bene di tutta l'Italia e ha spiegato pure il motivo, ovvero che non tengono conto dell'interesse aziendale. E su questo ha ragione, il benessere dell'azienda si ripercuote inevitabilmente anche a vantaggio dei lavoratori. Se non si crea la ricchezza, c'è ben poco da distribuire.

Anonimo ha detto...

Torniamo a parlare dell'argomento iniziale della discussione, il precariato ed i referendum per abolirlo, mettendo in secondo
piano gli ultimi post riguardanti la gestione sindacale in azienda.


Il lavoro precario deve essere regolamentato con leggi ben specifiche a tutela dei lavoratori, limitandone l'abuso.
Ci sono lavoratori, giovani e meno giovani, che sono precari da anni. Questi sono sottomessi ad un'incertezza cronica e costante.
Non possono darsi delle regole fisse di consumo, non possono arrivare ad una sicurezza nell'acquisto di beni primari come
l'abitazione o nella gestione familiare. Inoltre, questo tipo di lavoratore subisce il rischio costante di ritrovarsi senza
lavoro o la paura di restare totalmente marginalizzato nel corso di una qualsiasi crisi ciclica di lavoro, senza alcun diritto.
Queste situazioni hanno la loro conseguenza politica ed economica.
Innanzitutto, porta ad una stagnazione dei consumi con ripercussione sull'economia nazionale,
poi c'è la lotta e la difesa dei propri diritti di lavoratore dipendente che deve essere sostenuta da tutte le categorie
di lavoratori, precari e non.
Prima di arrivare ad un accordo capace di risolvere, almeno in parte, la questione del lavoro precario, dovranno passare
ancora diversi anni.

Anonimo ha detto...

Il piccolo imprenditore e il suo avvocato difensore fanno finta di non capire.
Cercherò di essere più chiaro.
Facciamo finta che io sia un piccolo attivista dei cobas e voglia fare in modo che si parli un po’ anche di noi e delle nostre sacrosante battaglie a favore dei lavoratori (perché come ha dettagliatamente spiegato Riccardo Di Palma esiste una discriminazione nei confronti dei sindacati autonomi e quindi essi non hanno la possibilità di farsi conoscere).
Inizialmente potrei intrufolarmi in una discussione che riguarda la Finanziaria per parlare del contratto dei metalmeccanici.
In seguito potrei inventarmi un metalmeccanico iscritto alla FIOM “sconcertato dalla deriva filocapitalista di tale organizzazione”. Naturalmente da iscritto FIOM il metalmeccanico pentito si informerebbe dal sito http://www.pubblicoimpiego.cobas.it.
E poi potrei inventarmi un piccolo imprenditore squalo e sincero che si preoccupa per la diffusione dei cobas. Perché i cobas sono contrari alle basi militari americane, alla TAV, alla Nato e quindi loro sono i veri anticapitalisti.
In questa perfetta sceneggiatura l’antagonista dovrebbe essere becero e retrogrado (nei suoi ragionamenti nei confronti dei lavoratori) in modo da far risaltare il protagonista buono (i cobas che tutelano il lavoratore) e stimolare la solidarietà degli eventuali lavoratori spettatori della discussione.
Diventa, allora, naturale che l’antagonista becero e retrogrado lodi i miei concorrenti in campo sindacale (i sindacati confederali infatti sono i peggiori nemici dei cobas, ancora più dei padroni) così oltre alla solidarietà per i buoni ci sarà anche l’esecrazione per questi venduti e traditori degli interessi dei lavoratori.
Devo lodare di tutto cuore la sceneggiatura sviluppata dal piccolo imprenditore che ha dato vita a questa appassionante soap intitolata “Un posto in fonderia” e aspetto con ansia gli sviluppi futuri.

Anonimo ha detto...

Genzo quello sulla Democrazia Sindacale è uno dei tre referendum.
Ma ribadisco lo strumento referendaro è un boomerang su quel tema, è troppo distante dai bisogni percepiti come incombenti della gente, farebbe la stessa fne del referendum sulle cellule staminali.
In tema di precarietà, condivido il tuo pensiero che sostiene l'abuso di questo strumento. Credo che anche abrogando completamente la legge 30 non si debelli il fenomeno precariato, in quanto tale male sociale, ha origini antecedenti all'entrata in vigore della stessa legge. Certo che sarebbe un segnale popolare forte al Parlamento. E questo tema, a differenza della Democrazia Sindacale, coinvolge direttamente o indirettamente un enorme numero di persone, pertanto ritengo che ci siano buone possibilità di raggiungere un risultato positivo mediante lo strumento referendario.
Vorrei solo sottolineare la netta spaccatura esistente all'interno della società, emersa anche in questo Forum. C'è chi come me considera il precariato un male sociale, e chi invece lo considera uno strumento necessario ed essenziale per la crescita delle imprese e conseguentemente, del sistema Italia. Sono punti di vista non semplicemente differenti, ma addirittura opposti. E questo potrebbe offrire non pochi spunti di riflessione.

Anonimo ha detto...

Mi spiace che il padrone delle ferriere abbia rivelato il finale della soap e in tal modo abbia decretato la fine delle trasmissioni. Ma io spero ancora che il piccolo imprenditore metalmeccanico possa tornare, magari dopo aver fatto un corso di formazione in Romania o nell'Est asiatico per portarci gli ultimi aggiornamenti in materia di Management e utilizzo delle Risorse Umane.

Anonimo ha detto...

Altra casta oltre quella politica con le stesse caratteristiche che, a differenza di quella politica, neanche si sottopone a votazioni nazionali per dimostrare almeno la propria rappresentatività formale: ed è quella potentissima e intoccabile casta rappresentata da Cgil, Cisl, Uil che da decenni monopolizzano i diritti sindacali e nei luoghi di lavoro.
Da anni ci battiamo con tutti i mezzi pacifici a nostra disposizione perché questo intollerabile regime termini. Finora, non ce l’abbiamo fatta: ma non pensiamo affatto di arrenderci.
Le iniziative di lotta sono partite dal 6 febbraio e si ripeteranno periodicamente davanti a sedi governative o di partiti di governo, mirano a restituire ai lavoratori/trici quei diritti di libertà di parola nei luoghi di lavoro, di rappresentanza, di trattativa, che sono stati annullati dalla oligarchia dei sindacati concertativi.
La rivendicazione fondamentale è la restituzione del diritto di assemblea in orario di servizio per ogni sindacato e per ogni gruppo significativo di lavoratori/trici.
In generale, per una vera democrazia sindacale dovrebbero essere rispettati almeno i seguenti criteri:
1) la rappresentanza nazionale di categoria andrebbe stabilità mediante elezioni su liste nazionali, che consentano ad ognuno di votare per il sindacato che preferisce;
2) non raggiungere la rappresentatività e i conseguenti diritti in un’elezione non deve impedire a chi non la ottiene di riprovarci alla successiva, conservando i diritti di assemblea e propaganda nei luoghi di lavoro;
3) nelle elezioni delle RSU non ci devono essere quote garantite a nessuno, come invece avviene ora nel lavoro privato (33% assegnato ai confederali indipendentemente dai voti ottenuti);
4) alle elezioni a qualsiasi livello devono potere partecipare anche i precari in servizio;
5) i dipendenti nei luoghi di lavoro privato e i pensionati devono potersi iscrivere, mediante trattenuta in busta-paga, a qualsiasi sindacato, e non solo a quelli considerati “rappresentativi” dalla controparte;
6) ogni accordo, a carattere locale o nazionale, va sottoposto a referendum vincolante tra i lavoratori.
Questo insieme di elementari regole richiederebbe una legge sulla rappresentanza sindacale davvero democratica: ed essa resta per noi obiettivo fondamentale. Ma, in tempi rapidi, almeno il diritto minimo di assemblea nei luoghi di lavoro in orario di servizio va garantito a tutti/e.